Se prima eravamo fruitori passivi di contenuti che stimolavano i nostri sensi (soprattutto vista e udito), oggi da utenti, siamo sempre più coinvolti in vere e proprie esperienze di interazione tra uomo e macchina, tra persona e strumento multimediale o installazione interattiva.
Grazie allo sviluppo tecnologico e alla nascita di professioni ibride, a cavallo tra il mondo tecnico e quello creativo, oggi quando ci troviamo di fronte ad un oggetto, un dispositivo, un pannello o uno schermo possiamo parlargli, toccarlo, vederlo e percepirlo, ricevendo indietro feedback, risposte e cambiamenti nell’ambiente che ci circonda.
Tutta un’altra storia.
L’interattività è un vero e proprio linguaggio che prevede la creazione di ambienti sensibili che i fruitori modificano con la loro presenza e che regala esperienze inedite in grado di educare e sensibilizzare efficacemente, imprimersi nella nostra memoria, generare emozioni e sensazioni.
“I nuovi media sono interattivi. Diversamente dai vecchi media, in cui l’ordine di rappresentazione è fisso, oggi l’utente può interagire con un oggetto mediale. Grazie all’interazione l’utente può scegliere gli elementi da visualizzare o i percorsi da seguire, generando così un output personalizzato. In questo modo l’utente diventa anche coautore dell’opera.” – Lev Manovich
Elementi psicologici dell’interazione uomo-tecnologia
In psicologia, il fattore che rende un’esperienza più o meno immersiva e coinvolgente viene definito “senso di presenza”. La sensazione di esserci, di essere davvero in un ambiente (anche se virtuale) aumenta con la possibilità di agire sullo stesso ed interagire con ciò che ci circonda.
Lo psicologo Albert Bandura, noto per l’impatto dei suoi studi sulla teoria sociale cognitiva, ha definito il concetto di human agency (agentività) come facoltà di far accadere le cose, di intervenire sulla realtà e di esercitare un potere causale. L’agentività, legata alla facoltà di generare azioni mirate a determinati scopi, è uno dei fattori che distingue l’esperienza passiva di fruizione da quella attiva e influisce sull’apprendimento e sulla memoria.
Maggiori sono le possibilità di azione ed interazione con l’ambiente e con la tecnologia, maggiore sarà l’impatto sulla persona.
A rendere l’esperienza ancora più interattiva e coinvolgente vengono utilizzate anche dinamiche di gioco (gamification) in grado di veicolare messaggi, promuovere un determinato comportamento dell’utente, motivando all’azione e ricompensando quando viene raggiunto un obiettivo. La gamification prevede l’inserimento di dinamiche ludiche come la competizione, la score keeping, il conseguimento di obiettivi, la possibilità di ottenere premi e la collaborazione.
Da osservatori passivi… ad attori dell’interazione
Da un lato, abbiamo la fruizione passiva di contenuti come video e videomapping. Nonostante coinvolgano i nostri sensi e aggiungano elementi rispetto a quelli percepiti normalmente, rimangono esperienze passive in cui l’utente subisce l’esperienza senza aver possibilità di moderarla ed influenzarla.
Molto diverse sono invece le esperienze interattive dove l’uomo agisce sulla tecnologia e quest’ultima risponde con feedback e cambiamenti: da fruitore dell’opera si diventa attore e, in un certo senso, co-autore di un percorso potenzialmente diverso da persona a persona. In questo caso possono essere utilizzate dinamiche di gaming o installazioni interattive con audio, video, touch, kinect, sensori… strumenti in grado di coinvolgere più sensi e la percezione di spazio e movimento.
Si definisce interazione incarnata (embodied interaction) l’uso della corporeità per facilitare l’interazione uomo-computer rendendo quest’ultima il più possibile simile a quella che abbiamo in un ambiente reale.
Da questa idea nascono quindi installazioni interattive come Ouch! di WOA Creative Company che, a seconda degli urti e del contatto con la superficie sensibile, genera differenti risposte visive. Ad esempio, la pallina viene lanciata vicino all’occhio, la riproduzione digitale del volto chiude gli oggi simulando una reazione di fastidio proprio nella posizione coinvolta.
Il fruitore dell’arte interattiva acquisisce un bagaglio di esperienze che modifica, secondo Hans Robert Jauss (1921-1997), i suoi orizzonti di attesa. Avviene dunque un mutamento nel modo in cui il fruitore si avvicina ai prodotti artistici. Per questo, anche visitando un museo di arte classica, si arriva oggi ad avere l’aspettativa di poter interagire e personalizzare la propria esperienza.
L’utilizzatore è pienamente coinvolto nell’esperienza in quanto la percezione degli oggetti e la loro comprensione dipende dalle sue azioni: è suo compito scoprire e comprendere quanto viene esplorato. Un semplice gesto dell’utente, un movimento nello spazio, l’emissione di un suono, lo sguardo possono animare l’istallazione, far ruotare gli oggetti, cambiare la posizione, introdurre nuove informazioni, ecc.
Se l’interazione è progettata accuratamente, in modo da risultare il più naturale e spontanea possibile, la tecnologia delle installazioni interattive può catturare l’attenzione degli utilizzatori di ogni età. Un’interazione vincente quasi non ha bisogno di essere spiegata, nè raccontata, bensì guida l’utente e ne direziona i comportamenti in un percorso di feedback tra uomo e macchina (ecco un esempio di Interactive Led Floor che rileva il passaggio delle persone e muove l’acqua di conseguenza).
Un aspetto che trovo molto interessante riguarda la necessità di andare oltre il “semplice” inserimento di strumenti digitali in un’esperienza al fine di renderla innovativa.
In realtà questo non basta: servono nuovi metodi di progettazione e ricerca che toccano ambiti tecnici, psicologici, di design e artistici.
Lo sviluppo tecnologico ha infatti portato a nuove forme di contaminazione tra tecnologia e arte in cui l’una esalta l’altra, generando filoni artistici come quello dell’arte interattiva (che vede l’utente interagire con le opere d’arte grazie all’utilizzo di strumenti tecnologici) e dell’arte generativa (in cui sistemi autonomi, come l’intelligenza artificiale elaborano dati creando nuove creazioni inedite).
Questa tendenza a trasformare i contenuti mediali in vere e proprie esperienze ha man mano affievolito il confine tra realtà e mondo virtuale, creando uno spazio ibrido che abbiamo modo di sperimentare ormai quotidianamente: l’interrealtà, dove il mondo digitale influenza quello reale e viceversa (G. Riva, 2019).
“Creando nuove macchine – sempre più meravigliose – impariamo a conoscere noi stessi”
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